Rifarsi il seno può cambiare la vita di una donna?

Un seno nuovo può cambiare la vita? L'Italia è il quarto Paese al mondo per numero di interventi di mastoplastica additiva


È l’intervento estetico più richiesto dalle donne e anche quello più chiacchierato: tra il serio e il (molto) faceto - la tale celeb. è sicuramente rifatta, quell’altra ammette, l’altra invece nega ma figuriamoci, l’altra ancora l’ha richiesto come pegno d’amore al facoltoso fidanzato - l’impressione è che ormai «regalarsi» un seno nuovo grazie al bisturi sia un intervento banale, di routine, poco più complicato di una pressoterapia.

La verità, però, è un po' diversa: secondo dati raccolti dalle aziende produttrici di protesi, in Italia su circa 300mila visite dagli specialisti per interventi estetici al seno, solo il 10 per cento si conclude in sala operatoria. Negli Stati Uniti sono il 50 per cento. Non solo: il 26 per cento degli interventi viene ripetuto, non per effetti collaterali o problemi imprevisti, ma perché la paziente non è contenta del risultato. I dati sono stati pubblicati a fine 2012, quando 300 specialisti di tutto il mondo si sono incontrati a Milano per il V Simposio europeo dedicato alle novità mediche e chirurgiche per il seno.

Ma perché a tanto interesse iniziale non corrisponde poi la voglia di affidarsi al bisturi? E qual è la causa di tanta insoddisfazione post-operatoria? Dipende dalle aspettative delle donne o dalle capacità comunicative dei chirurghi italiani? Ne abbiamo parlato con Maurizio Nava, direttore dell’Unità di Chirurgia Plastica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e presidente del Simposio.

Dottor Nava, davvero le donne hanno eccessive aspettative sulle possibilità offerte dalla chirurgia estetica?

«A volte le aspettative non c’entrano con l’intervento. Alla base può esserci un desiderio di cambiamento di vita, per esempio dopo la fine di una relazione, un’aspirazione professionale oppure un’insoddisfazione più generale verso se stesse. Disagi interiori che vengono “estetico”, si tratta comunque di un’operazione chirurgica che comporta dei rischi».

Però, mi scusi, è inevitabile che un’insoddisfazione per il proprio aspetto possa ripercuotersi anche sulla psiche: come si fa a capire se stiamo percorrendo la strada giusta?

«È fondamentale il dialogo con lo specialista. Il colloquio deve essere molto chiaro, realistico e approfondito. Il medico ha il dovere di spiegare quali sono i risultati che si possono ottenere e le possibili complicanze dell’intervento e la paziente ha il dovere di chiederli. La visita, perciò, non può durare meno di 40/50 minuti, con la prescrizione di ecografia, mammografia o entrambe, a seconda dell’età e, eventualmente, una risonanza magnetica. Il medico deve essere informato su precedenti patologie, interventi, alterazioni genetiche. E anche sulla storia familiare. Diffidare di chi fa colloqui di una decina di minuti, sbrigativi e gratuiti».

Ha senso venire da lei con la foto dell’attrice di Hollywood e la richiesta: voglio un seno come il suo?

«Ovviamente no, perché ogni donna è unica e il seno deve armonizzarsi col resto del corpo. Il chirurgo deve proporre le modifiche che possano garantire il risultato più adeguato e solo a questo punto si stabilisce qual è la tecnica chirurgica adatta. Quindi, se è il caso di ricorrere alle protesi, bisogna valutare il tipo più adatto, dove collocarlo, cioè dietro il muscolo o dietro la ghiandola, e che tipo di incisione effettuare. Per pianificare al meglio l’intervento, il chirurgo segue un algoritmo che consiste in varie misurazioni del seno e del torace, nella valutazione dello spessore e della tonicità della pelle e della condizione della ghiandola mammaria. E non vanno taciute le possibili complicanze: quelle connesse a ogni intervento chirurgico e quelle specifiche».

Cerchiamo di capire meglio, allora: quali sono gli interventi estetici possibili?

«La mastoplastica additiva è l’aumento del seno che si ottiene inserendo una coppia di protesi al silicone in una “tasca” ricavata nelle mammelle. La protesi può essere messa subito dietro la ghiandola mammaria oppure al di sotto anche del muscolo pettorale o, ancora, con una via di mezzo, inserita sotto il pettorale nella parte superiore e sotto la ghiandola in quella inferiore (dual plan): la scelta dipende dall’algoritmo ottenuto. Lo stesso vale per la zona dove incidere: nel solco sotto le mammelle, la più facile e con cicatrice poco visibile; intorno all’areola, dove la cicatrice si mimetizza abbastanza bene, purché la protesi non sia troppo voluminosa e l’areola troppo piccola, e, infine, l’incisione ascellare, che però va fatta in endoscopia e solo con protesi minute. Se non ci sono complicazioni, la paziente entra in ospedale al mattino ed esce alla sera o il giorno dopo, con una medicazione sulla ferita, senza bendaggi e con un reggiseno contenitivo. Dopo una decina di giorni potrà tornare al lavoro, dopo 15 muovere le braccia e anche guidare, basta evitare manovre brusche, e dopo circa 6/8 settimane tornare a praticare sport. La mastoplastica riduttiva, che invece mira a “rimpicciolire” il volume, è un intervento più complesso, che in alcuni casi può lasciare cicatrici permanenti».

E se il seno ha un buon volume ma è caduto?

«La soluzione per la ptosi, cioè la discesa in termini medici, dopo l’allattamento, un forte dimagrimento o semplicemente per il passare degli anni, è la mastopessi o lifting del seno. Il tessuto mammario viene risistemato sotto la ghiandola, come se si trattasse di una protesi, l’areola si posiziona più in alto e la pelle in eccesso viene eliminata. Se necessario, si può prevedere anche l’inserimento di una protesi o, se il ritocco riempitivo è minimo, un intervento di lipofilling, cioè l’iniezione di grasso prelevato con una liposuzione dalla paziente stessa. In caso di asimmetrie, si può anche intervenire in due modi diversi su ogni seno».

I costi?

«Circa 8-12mila euro per una mastoplastica additiva, 10-14mila per la riduttiva, 6-10mila per la mastopessi».

Quali sono le complicanze possibili più frequenti di un intervento al seno?

«A parte le cicatrici visibili, c’è il rischio di contrattura capsulare: può accadere che l’involucro di silicone solido della protesi scateni nell’organismo una reazione da corpo estraneo, e quindi la formazione di una capsula che ingloba come una pellicola la protesi e i tessuti circostanti. Il fenomeno è normale, nel senso che isola l’impianto dal resto dell’organismo e lo stabilizza nella posizione corretta. Ma la reazione dell’organismo può essere esagerata, così si formano capsule rigide e spesse, che schiacciano la protesi modificando la forma del seno. Con le protesi di nuova generazione il rischio è sceso al 3-5 per cento e si riduce al minimo se il chirurgo cura l’intervento nel più piccolo dettaglio per evitare i rischi di infezione e usa impianti di qualità. Se si verifica una contrattura severa, bisogna rifare l’intervento».

Ci dica la verità: le protesi in aereo possono scoppiare?

«Assolutamente no! Pensi che il principale paese costruttore di protesi è il Costa Rica: da lì arrivano in tutto il mondo. Se la storia fosse vera, sarebbero scoppiati non solo gli impianti, ma anche gli aerei in volo».

Questo però non toglie che le protesi possono dare problemi, anche gravi, come ha dimostrato lo scandalo delle Pip l’anno scorso, quando in Francia il governo ha richiamato in ospedale tutte le pazienti che avevano impianti della ditta Poly Implant Prothèse perché si rompevano con facilità.

«Le prime protesi mammarie risalgono all’inizio degli anni ’60. Erano rotonde, spesse e lisce, in silicone coesivo, con risultati pessimi. Poi si è passati a protesi sottili di silicone a bassa coesività e contenenti un gel di silicone molto fluido: più naturali, ma purtroppo con complicanze altissime. E qui sono nate le leggende. Dopo le protesi con un gel ad alta coesione, si è arrivati alle attuali, di quinta generazione in triplo strato, con un gel di silicone ancora più coeso, e rugose, così che il tessuto muscolare vi aderisce perfettamente, in 15 forme anatomiche: il chirurgo può scegliere tra oltre 300 tipi di protesi di diverso volume e consistenza».

È per questo che si sono ridotti i «palloncini immobili» e un po’ ridicoli che si vedevano tempo fa anche sulle celeb. che possono permettersi il meglio che offre il mercato?

«Esattamente. E il risultato non è mai standard. Oggi a seconda delle caratteristiche della mammella, delle dimensioni del torace e delle aspettative della paziente si può utilizzare una protesi più piena nella porzione superiore e meno in quella inferiore, più o meno proiettata verso l’esterno, più conica, oppure con una consistenza più o meno morbida. Le ultime arrivate, le più indicate per le più giovani, sono concave posteriormente, hanno margini molto sottili e una dolce curvatura superiore».

C’è un modo per essere sicure di non avere problemi?

«Diffidare delle offerte a prezzi stracciati: le protesi devono essere impiantate nel proprio corpo, perciò devono essere di qualità eccellente, anche se il loro prezzo sarà più alto di altri prodotti più a buon mercato, ma di dubbia affidabilità (è stato così nel caso delle Pip, che si sono diffuse molto proprio per il loro costo contenuto, ndr). L’ideale sarebbe avere la possibilità di vederle e toccarle prima dell’intervento, leggere il libretto informativo e poterle pagare direttamente alla ditta. Dopo l’operazione, il chirurgo dovrebbe dare alla paziente una scheda con tutte le caratteristiche delle protesi: casa produttrice, numero di serie, posizionamento, probabile durata...».

Quando bisogna tornare da lei?

«Se non ci sono sintomi, basta una visita annuale, l’ecografia o la mammografia ogni due anni e una risonanza ogni 10. Bisogna correre subito dallo specialista, invece, se si nota un cambiamento di forma o di volume, se il seno appare arrossato, caldo, duro o dolente, se la cute diventa sensibile, tesa o addirittura infiammata. Però le rotture sono un evento raro, secondo le statistiche nell’1-2 per cento dei casi nei primi sei anni, nell’8 per cento dopo 11 e quasi sempre sono causate da un errore del chirurgo perché, per esempio, ha fatto un’incisione della cute troppo piccola e quindi ha forzato sulla protesi infilandola nella tasca».

Quanto durano?

«Le protesi non durano tutta la vita: anche perché la donna cambia, ingrassa, dimagrisce, ha figli, allatta. Così, se per una giovane è indicato il posizionamento sotto la ghiandola, nel secondo intervento è più probabile che si opti per il sottomuscolo. Però se l’operazione è ben pianificata, la durata prevista è tra i 10 e i 20 anni».

Alle italiane piace la chirurgia plastica

Secondo la più recente indagine dell’International Society of aesthetic Plastic Surgery (ISaPS), l’Italia è al sesto posto nella classifica mondiale della chirurgia plastica, sia come interventi praticati, sia come numero di professionisti. Gli interventi al seno sono i più richiesti, mentre c’è una certa resistenza verso la tossina botulinica: ai pazienti italiani piace di più l’acido ialuronico e si sta diffondendo anche il lipofilling, cioè l’auto-trapianto di grasso. Nel mondo, invece, l’intervento più praticato è la liposuzione (19,9 per cento), seguito dall’aumento del seno (18,9 per cento) e dalla befaroplastica (11 per cento). L’iniezione di tossina botulinica si impone con il 38,1 per cento degli interventi, seguita da acido ialuronico (23,2 per cento) e rimozione dei peli superflui (10,9 per cento). La top five dei paesi in cui si eseguono più interventi di chirurgia plastica vede in testa gli Usa, seguiti da Brasile, Cina, Giappone e Italia. L’Italia è quarta al mondo per interventi di mastoplastica additiva (5,1 per cento degli interventi) e blefaroplastica (5,9 per cento).

29-01-2016 elle.it